Maggy De Coster, Il Mistero del Bosco di Richebourg (e altre storie), introduzione e cura di Mario Selvaggio, traduzione dal francese di Mario Selvaggio e Susanna Seoni, illustrazioni di Susanna Seoni, Roma, Edizioni Universitarie Romane, Coll. « Narrativa per ragazzi n. 1 », 2015, 116 p.
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IL MISTERO DEL BOSCO DI RICHEBOURG
Anemone e Amelia erano gemelle. Sin dalla nascita erano inseparabili. Dormivano nella stessa stanza e amavano farsi raccontare delle favole dalla mamma prima di addormentarsi. Si somigliavano come due gocce d’acqua. Per distinguerle, si doveva chiedere loro di sorridere, in quanto Amelia aveva due file di perle al posto dei denti da latte. Il dentista della famiglia era talmente preoccupato da consigliare alla madre di farglieli estrarre prima che Amelia avesse compiuto i sette anni. Ma lei non era affatto d’accordo perché riteneva che se il dentista le avesse estratto i denti il topolino non sarebbe andato a farle visita.
Anemone amava molto Amelia e si sentiva sempre bene quando era in sua compagnia. Spesso si dicevano cose che solo loro potevano capire. Si potrebbe dire che avessero inventato una loro propria lingua. Si dividevano i giocattoli e amavano giocare alla campana e alla cavallina.
Era autunno. Un mercoledì pomeriggio, andarono a raccogliere le castagne nel Bosco di Richebourg, a Montmagny, con la cuginetta Elena. Ognuna aveva un cestino di vimini. Il sole era ancora alto lassù in cielo, ma non c’era nemmeno un gatto nel bosco. Una leggera brezza correva di tanto in tanto tra gli alberi che avevano già preso il loro colore ocra.
Anemone fu attratta a prima vista da un uccellino ferito, disteso su un letto di foglie morte ai piedi di un albero di castagno. Si allontanò con l’uccellino, deponendolo nel suo cestino di vimini. Tirò fuori dalla tasca due fazzolettini di carta per riscaldare la bestiolina. Mentre Elena e Amelia continuavano a raccogliere le castagne, Anemone sussurrava parole gentili all’uccellino ferito che le rispose con un gridolino, come se avesse voluto dire: “Grazie per essere così gentile con me, Anemone”.
Andò a sedersi sulla piccola pietra che si trovava nelle vicinanze, facendo molta attenzione a non far rovesciare il cestino di vimini in cui si trovava l’uccellino ferito. Rimase per un attimo in silenzio. Improvvisamente sentì muoversi la piccola pietra su cui era seduta. Gridò. Elena e Amelia non avevano udito il suo urlo. Sentì la terra sollevarsi sotto i piedi e cominciò ad avere paura. Nel momento in cui decise di scappare, apparve una creatura meravigliosa con in testa una corona ornata di tutte le pietre preziose della terra, e vestita con una tunica ricamata con fili d’oro e d’argento. Anemone era così emozionata da questa apparizione che svenne. Elena e Amelia, invece, non si resero conto di nulla.
La meravigliosa creatura si chinò su Anemone sussurrandole all’orecchio: “Anemone, bel fiore del Bosco di Richebourg, svegliati”.
A queste parole, Anemone aprì gli occhi e fece un grande sorriso alla misteriosa creatura del Bosco di Richebourg che l’aiutò ad alzarsi, dicendole: “Non avere paura, io sono la Fatina del Bosco, ti trasmetterò un dono: quello di guarire gli uccellini feriti”. Anemone le rispose: “Se me lo merito, lo accetto volentieri”.
La Fatina del Bosco soffiò tre volte sul viso di Anemone e prima di andare via le donò una moneta d’oro con la sua immagine. Pregò Anemone di conservarla per tutta la vita, solo così potrà mantenere il dono di guarire gli uccellini feriti. Detto questo, la Fatina del Bosco scomparve senza far rumore.
Anemone tornò dal suo uccellino ferito e lo accarezzò dolcemente. Due minuti più tardi, l’uccellino si alzò sulle sue zampette e spiccò il volo. Anemone saltò di gioia e non tentò nemmeno di riprenderlo. Poco dopo, l’uccellino tornò e andò a posarsi sulla testa di Anemone come per ringraziarla di averlo salvato. Poi si allontanò per sempre.
Al termine di questa bella avventura, Anemone prese il cestino e tornò in fondo al Bosco di Richebourg da Elena e Amelia, che stavano ancora raccogliendo le castagne. I passi di Anemone fecero sussultare Elena e Amelia che voltandosi gridarono così forte da far tremare gli alberi e sollevare le foglie morte.
– Non abbiate paura. Ho una bella notizia per voi, disse Anemone.
– Come sta il tuo uccellino ferito?, chiesero in coro Elena e Amelia.
– Ha riacquistato la sua libertà e ne sono felice. Ora è il mio turno a raccogliere le castagne, concluse Anemone.
Siccome Elena e Amelia avevano raccolto molte castagne, avevano deciso di dividerle con Anemone come ricompensa per la sua buona azione, per aver salvato cioè la vita al-l’uccellino che ha alla fine trovato il suo posto nella natura.
Così lasciarono il Bosco di Richebourg con il cuore pieno di gioia e cariche di castagne. Anemone sistemò la moneta d’ora nel suo salvadanaio. Per tre giorni tenne segreto il suo incontro con la Fatina del Bosco prima di parlarne ad Amelia.
Il mercoledì successivo le due gemelle ritornarono al Bosco di Richebourg, questa volta per fare una passeggiata con la loro cagnolina Demetra. Mentre Anemone giocava a nascondino con l’animale, Amelia si sedette sulla pietra su cui si era seduta l’ultima volta Anemone. Non vedeva l’ora di vedere la Fatina del Bosco. Siccome la Fatina del Bosco non si era ancora mostrata, dopo mezz’ora, Amelia si alzò e andò a lamentarsi con sua sorella Anemone:
– È curioso, non ho visto niente. La Fatina del Bosco non sa forse che io sono tua sorella gemella e che abbiamo sempre gli stessi desideri, si lamentò Amelia.
– Forse non è il giorno giusto. Un altro giorno, ritornerai senza di me, forse andrà meglio, rispose dolcemente Anemone.
– È un’ottima idea, pensò Amelia.
Poco dopo, Amelia e Anemone tornarono a casa con la loro cagnolina Demetra.
Dietro suggerimento di Anemone, Amelia tornò da sola, un sabato, nel Bosco di Richebourg. Si sedette sulla piccola pietra e cominciò a meditare, con gli occhi chiusi. Dopo tre quarti d’ora, aprì gli occhi e vide davanti a sé una spessa coltre di fumo bianco. All’improvviso, sentì tutti gli alberi girare intorno a lei prima di cadere a terra priva di sensi. Mezz’ora dopo, si risvegliò tra le braccia di un principe affascinante che indossava un vestito di raso e di seta, rifinito con paillette d’oro. Alla sua cintura pendeva una spada con una impugnatura d’avorio. Il principe coprì Amelia, tutta confusa, di mille teneri baci.
Si diceva che i membri della famiglia di questo principe fossero i signori del castello di Montmagny. Purtroppo questo antico castello fu distrutto.
Il principe promise ad Amelia che l’avrebbe sposata entro la fine dell’autunno. Amelia accettò.
Un cavallo bianco alato, chiamato Pegaso, si posò nel Bosco di Richebourg. Il principe volò via in groppa al cavallo con la sua principessa in una nuvola di fumo, dal profumo di camelie.
Amelia diventò la principessa Camelia e si rifugiò con il suo affascinante principe in un palazzo con 365 camere. Tutti i giorni dell’anno cambiavano la loro stanza.
Anche Anemone trovò posto a palazzo dove visse a contatto con la natura, circondata da animali che proteggeva per la gioia di tutti coloro che rispettano la vita.
* Traduzione di Susanna Seoni
Ibid., p. 43-47.
I TRE CONIGLIETTI
C’erano una volta tre coniglietti che saltellavano attorno ad una vecchia signora che amava molto gli animali. Domandò loro se avessero perduto la strada. Le risposero: “Signora, abbiamo tanta paura e siamo molto tristi perché abbiamo perduto la nostra mamma da tre giorni. Era andata a cercare delle carote al mercato di Montmagny nella Val d’Oise. Siccome non vedeva bene è stata uccisa da una macchina mentre attraversava la strada”.
La vecchia signora rispose: “Oh miei poveri coniglietti, sono molto triste per voi! Se accettate di venire a casa mia vi darò delle carote, che crescono nel mio giardino”.
A queste parole, i tre coniglietti saltarono dalla gioia dicendole: “Grazie signora, lei è molto gentile, verremo volentieri a casa sua”.
La vecchia signora li prese in braccio e li lasciò nel suo giardino dove mangiarono molte carote. Poi si addormentarono sino al mattino successivo.
Al risveglio dissero alla vecchia signora: “Signora, abbiamo mangiato molte carote, ora vediamo molto meglio e non ci faremo investire da una macchina come la mamma”.
E i tre coniglietti se ne andarono tutti felici verso nuove avventure.
* Traduzione di Susanna Seoni
Ibid., p. 71.
LA LEGGENDA DEI DUE FARI
Al centro di un isolotto si ergono maestosi due fari che sembrano quasi sfiorarsi. Con i piedi piantati nella neve, vigilano sul litorale come due instancabili sentinelle. Il mare, intorno ad essi, affida loro il suo mormorio e il suo lamento da mattina a sera. Testimoni di annegamenti e pericoli, hanno di che raccontarsi ogni giorno. Esploratori e vigilanti di notte, sono continuamente sollecitati e sono sempre prodighi di buoni consigli per i navigatori.
Infaticabili, non lasciano trasparire alcun sospiro, alcun gemito. Con il cattivo tempo, il mare agitato si scatena ai loro piedi, ma lo tengono a bada, poiché hanno un morale a prova di bomba. L’unione fa la forza: si sostengono l’un l’altro.
La brezza marina li accarezza affettuosamente cullandoli teneramente, mentre il cielo li gratifica con azzurre promesse.
Alcuni scogli ricoperti di alghe contribuiscono con loro allo scenario marino. Nulla turba la tranquillità e l’equilibrio di questo insieme.
* Traduzione di Mario Selvaggio
Ibid., p. 75.